Una Storia Tra Due Città: Kobe e Barditchov
Ventisei anni fa ho osservato la festa di Pèssakh in Giappone. Qualche settimana prima dell’inizio di questa festività nel 1997, il rabbino Moshè Kotlarsky, della sede centrale di Chabad World a Brooklyn, chiese a un collega e a me di recarci in Estremo Oriente e di condurre un Seder pubblico di Pèssakh per la comunità ebraica che viveva nella remota città di Kobe. Il nostro viaggio in Giappone e i numerosi incontri con centinaia di ebrei residenti in quella parte del mondo rimangono impressi nel mio cuore. Il mio amico, Moshè Leiberman (oggi rabbino a Boston), supervisionava le meticolose procedure per kasherizzare la cucina della Sinagoga per la festa di Pèssakh e per la preparazione del cibo per il Seder. Non sapevamo quante persone aspettarci; vi sono ebrei “erranti” in ogni angolo del Giappone. Con nostro grande stupore, il nostro primo Seder pubblico ha attirato quasi duecento ebrei, la maggior parte dei quali provenienti da ambienti molto laici, alcuni dei quali non partecipavano a un Seder di Pèssakh da decenni. L’energia era grande, abbiamo cantato, ballato, mangiato la matzà croccante e bevuto il vino saporito. Gli ospiti erano entusiasti, divorando le discussioni tanto quanto il delizioso pasto.
A metà del Seder, cercavo le parole per descrivere i miei sentimenti. La mia memoria ha fatto emergere un commovente racconto chassidico, uno dei miei preferiti, sul santo Rebbe (maestro spirituale) di Barditchov.
Ecco il racconto.
Un Seder da Ubriachi
Rabbi Levi Yitzkhàk di Barditchov (1740-1810) fu uno dei grandi maestri spirituali della sua generazione. A Pèssakh, dopo un Seder ricco di emozioni, al Rebbe fu detto dal Cielo che il Seder di Moshele, il portatore d’acqua, era superiore al suo. “Quest’anno”, gli fu comunicato dall’Alto, “il Seder più amabile di Dio è stato quello di Moshele, il portatore d’acqua di Barditchov”.
Il giorno successivo, dopo le funzioni, i discepoli del Rebbe andarono da Moshele, il portatore d’acqua, e gli chiesero di andare a trovare il Rebbe. Moshele si presentò al Rebbe e cominciò a piangere amaramente. Disse: “Rebbe, non lo farò mai più. Mi dispiace tanto, non so cosa mi sia preso”. Il povero uomo era distrutto. Il Rebbe disse: “Ascolta, mio caro ebreo, non preoccuparti così tanto; dicci solo cosa hai fatto ieri sera”.
[Dobbiamo interrompere per un momento la storia. È risaputo che, in generale, l’ebbrezza e l’alcolismo sono visti nell’ebraismo come ripugnanti e distruttivi. Eppure il nostro caro Moshele era rimasto orfano in giovane età ed era miseramente povero. Purtroppo ha ceduto alla tentazione dell’alcol come modo per affrontare l’agonia e lo stress. Essenzialmente, Moshele era un uomo buono e innocente, timorato di Dio e dal cuore puro, ma questa tentazione, purtroppo, ebbe la meglio su di lui]
Moshele iniziò a raccontare la sua storia al Rebbe:
Il “problema” è che a Pèssakh non si può bere whisky. Quindi ebbi un’idea geniale: sarei rimasto sveglio tutta la notte prima della Pèssakh per bere la quantità di whisky che mi avrebbe tenuto “su di giri” per otto giorni di fila, per tutta la durata della Pèssakh. E così feci: quando arrivò la notte prima della vigilia di Pèssakh, bevvi e bevvi, fino al minuto in cui si doveva smettere di mangiare khamètz (lievito) la mattina prima dei Pèssakh. Quando l’orologio segnò venti minuti dopo le nove, feci il mio ultimo “Lekhayim” e mi addormentai. Arrivò la sera del Seder, mia moglie mi svegliò e mi disse: “Moshele, non è giusto. Ogni casa ebraica ha un Seder. Noi abbiamo dei bambini piccoli e siamo gli unici a non avere un Seder”.
Moshele, pieno di vergogna, guardando il Rebbe di Barditchov, continuò a raccontare la sua storia: A quel punto, mi sono pentito di aver bevuto così tanto la sera prima! Me ne sono pentito! Avrei fatto di tutto per non essere ubriaco. Ma non potevo farne a meno. Così dissi a mia moglie: “Per favore, svegliami tra un’ora. Non riesco ancora a riprendermi”. Mia moglie continuava a svegliarmi ogni ora, poi ogni mezz’ora. Poi, all’improvviso, venne da me e disse: “Moshè, tra venti minuti la serata del Seder sarà finita e i bambini dormiranno tutti. Vergognati. Sei un padre e un marito vergognoso!”. “Aiuto! Ero così devastato”, continuò a raccontare Moshele al Rebbe.
Allora iniziai a dire a me stesso: “Ecco, i miei figli sono preziosi oltre ogni dire e io sono un pessimo padre alcolizzato, non ho nemmeno dato loro un Seder. Ho capito quanto sono caduto in basso, come la mia dipendenza ha distrutto la mia vita e le mie relazioni, come ho venduto la mia anima al diavolo dell’alcol”. Così, con le mie ultime forze, mi sono alzato dal letto e mi sono seduto al tavolo del Seder e ho detto a mia moglie: “Per favore, chiama i nostri figli santi”.
“Mia moglie ha chiamato i bambini e ho detto loro: “Per favore, sedetevi vicino a me, devo parlarvi”. Voglio che sappiate, bambini, che mi dispiace tanto di aver bevuto. Mi dispiace tanto di essere un ubriacone. Se il mio bere mi impedisce di fare un Seder con voi, allora non ne vale la pena”. Ho detto ai miei figli: “Vi giuro che non berrò mai più in vita mia. Ma adesso è la sera del Seder, quindi lasciate che vi racconti la storia della Pèssakh in breve”.
Pèssakh al Presente
Dopo il racconto dei miracoli dell’Esodo Moshele aggiunse: “Sai, Rebbe, ero ancora così ubriaco e poi so a malapena leggere l’ebraico. Ma ho comunque cercato di fare del mio meglio in quel frangente. Ho detto: “Bambini, voglio che sappiate che Dio ha creato il cielo e la terra in sette giorni. Poi Adamo ed Eva mangiarono dall’albero e furono cacciati dal Paradiso. Da allora tutto andò a rotoli: c’è stato un diluvio, c’è stata una torre di Babele; questo è tutto ciò che sapevo. Poi arrivarono Abramo e Sara. Ricominciarono a sistemare il mondo. Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe, Rachele e Lea e i loro dodici figli santi. Poi il Faraone ci ha reso schiavi e questa notte Dio ci ha fatto uscire dall’Egitto. Miei dolci figli, ora anche noi siamo in esilio. E voglio che sappiate che lo stesso Dio che ci ha portato via dall’Egitto è ancora vivo e presente e molto presto libererà anche noi da questo esilio”. Poi mi rivolsi a Dio e dissi: “Padre dei cieli, ti ringrazio tanto per averci fatto uscire dall’Egitto. E ti supplico, dolcissimo padre, ti prego di farci uscire molto presto dal nostro attuale esilio”!
Rebbe, mi dispiace tanto. Non riuscii a dire altro perché ero ancora ubriaco. Poi “Presi la matzà, il maròr e le carote che si trovavano sul tavolo e li mangiai. Riempii quattro tazze di vino e le bevvi una dopo l’altra, mi girai e mi addormentai di nuovo”.
Il santo maestro Rabbi Levi Yitzkhàk di Barditchov piangeva con lacrime. Disse ai suoi discepoli: “Avete sentito? Avete sentito? Vorrei che una volta nella mia vita comunicassi la Yiddishkeit (lo spirito ebraico) ai miei figli, come Moshele, il portatore d’acqua, la trasmise ai suoi figli la sera del Seder. Vorrei che una volta nella mia vita potessi conversare con Dio come Moshele fece durante il suo Seder”.
Un Messaggio dal Passato
Dopo aver concluso il mio racconto in Giappone dissi:
“Voglio che sappiate che ho celebrato molte serate al Seder in una comunità ebraica molto osservante di New York. Eppure ho la sensazione che il Seder più amabile da Dio, sia stato quello fatto proprio qui a Kobe, in Giappone! Molti di noi qui, questa sera, potrebbero non conoscere i rituali e le usanze dettagliate del Seder, e molti di noi potrebbero anche non saper leggere l’Haggadà in ebraico. Ma, miei carissimi fratelli e sorelle, la sincerità e la passione di così tanti ebrei assetati di riconnettersi con la loro anima interiore… questo non l’ho mai visto prima durante un Seder di Pèssakh e vi ringrazio per avermi concesso questa opportunità speciale”.
Ho sentito che la storia ha suscitato una profonda emozione nel pubblico. Ho potuto vedere le lacrime sgorgare dagli occhi di alcune persone. Ma una donna era seduta all’altro capo della sala e stava piangendo copiosamente. In seguito mi ha avvicinato e mi ha raccontato la sua storia personale: “Sono cresciuta in una casa molto assimilata”, ha detto la donna. “Non so quasi nulla dell’ebraismo. Vivo qui in Giappone da più di vent’anni, lavoro come insegnante di scuola e mi occupo delle discipline mistiche dell’Estremo Oriente”.
Mi ha raccontato che non era interessata a partecipare al Seder, poiché si sentiva completamente estranea all’ebraismo, ma un’amica l’ha convinta a venire. “L’unica cosa che ricordo dell’ebraismo”, ha continuato, “è che mia nonna mi diceva sempre che avevo un legame spirituale speciale. Perché? “Perché sei la decima generazione del rabbino Levi Yitzkhàk di Barditchov. Chi è il rabbino Levi Yitzkhàk di Barditchov mia nonna non l’ha mai saputo. Sapeva solo che era un grande uomo vissuto nell’Europa orientale. E ha insistito affinché io conservassi sempre questo pezzo di storia nella mia memoria. Quindi grazie Rabbino per essere stato il messaggero del mio santo bis bisnonno per avermi fatto tornare a casa questa notte di Pèssakh”, mi disse la donna. Mi sono asciugato una lacrima e ho ringraziato l’Onnipotente per avermi mandato in Giappone per celebrare un Pèssakh come un “ubriaco”.
Tratto da un articolo di Y. Y. Jacobson
Pro Memo Per Pèssakh
- Per tutto il mese di Nissàn non si recita takhanùn.
- Durante tutto il mese si cerca un albero da frutta che ha fiorito per fare la benedizione degli alberi e ringraziare per le belle creature che Hashèm ci dona.
- Da Rosh Kòdesh in poi si usa leggere, ogni giorno, un brano (Numeri, cap. 7), che descrive le offerte presentate dai dodici capi delle famiglie per quel giorno del mese.
- La sera che precede la vigilia di Pèssakh si esegue la ricerca del khamètz (cibo lievitato). Si esegue la ricerca, appena ha inizio la notte, solo con una candela di cera. Si cerca in ogni luogo dove si sospetta di aver portato del khamètz, dopo aver recitato la benedizione ‘…al biùr khamètz’. Dopo la ricerca, si dichiara nullo tutto il khamètz di cui non si è a conoscenza. Il giorno successivo, si brucia il khamètz rimasto, dopo di che si ripete la formula di annullamento.
- I primogeniti osservano il digiuno, alla vigilia di Pèssakh. Si usa facilitare in questo digiuno, mangiando un pasto di mitzvà, come un Brit Milà, un Pidyòn Habèn (Riscatto del Primogenito), o la conclusione dello studio di un Massèkhet.
- La seconda sera di Pèssakh, si comincia a contare l’òmer. Il computo va eseguito stando in piedi, subito dopo l’uscita delle stelle. Se qualcuno si è dimenticato di contare durante tutta la notte, può ancora farlo il giorno successivo, ma senza benedizione. La sera, poi, riprende il suo conto normale. Se dimentica, invece, di contare anche per tutto il giorno seguente, le sere successive dovrà continuare a farlo.