Anima di Abramo ascolta la parola e lascia la sua terra

A 90 ANNI, UN UOMO CAMBIÒ LA SUA VITA

Dio Parla a Ogni Anima; un Uomo lo Ha Sentito

La Questione del Rambàn

Uno dei più importanti commentari alla Torà fu scritto da Nakhmanide, Rabbi Moshè ben Nakhmàn (1194–1270), noto come Rambàn. È considerato una delle più grandi personalità medievali del mondo ebraico: uno straordinario studioso, filosofo, medico, cabalista e commentatore della Torà. Crebbe e visse per la maggior parte della sua esistenza a Girona, in Spagna. Verso la fine della sua vita, fu costretto a lasciare la Spagna (dopo aver vinto un dibattito nel 1263 contro Pablo Christiane, un ebreo convertito al cristianesimo) e si trasferì a Gerusalemme. È anche considerato una figura importante nella riorganizzazione della comunità ebraica a Gerusalemme dopo la sua distruzione da parte dei crociati nel 1099.

Differentemente dalla maggior parte dei commentatori, che si sono focalizzati sul significato di un versetto, una storia o di una legge, il Rambàn, si è spesso soffermato sulla struttura della Torà. Da questa ottica Nakhmanide solleva un affascinante interrogativo sull’apertura della porzione di questa settimana Lekh Lekhà: che fine ha fatto la biografia di Avrahàm?

Il Tanàkh, infatti, ci presenta costantemente nuovi personaggi che assumono ruoli diversi e svolgono compiti diversi. Prima di iniziare le loro storie, sono scritte alcune parole sul loro background per darci un contesto, per consentirci di capire perché sono stati scelti per il loro ruolo. Prendiamo Nòakh come esempio, di cui abbiamo appena letto la settimana scorsa, la Torà non inizia la sua storia dicendoci che Dio gli disse di costruire un’arca e salvare se stesso e la sua famiglia dal Diluvio. Innanzitutto, la Torà ci fornisce le informazioni di base. “La terra era corrotta e Nòakh trovò grazia agli occhi di Dio. Questa è la storia di Nòakh che era un uomo giusto nella sua generazione. Nòakh camminava con Dio”. Solo successivamente la Torà continua dicendoci che Dio parlò a Nòakh del diluvio e gli ordinò di costruire un’arca. Quindi da ciò è possibile capire perché è stato scelto proprio lui.

Oppure, prendiamo Moshè. La Torà non inizia la sua storia dicendoci che Dio si è presentato un giorno nella sua vita e lo ha convocato per redimere il popolo. Innanzitutto, apprendiamo il suo background che è cresciuto nel palazzo del Faraone, che ha salvato un ebreo da un egiziano che lo picchiava a morte, che ha cercato di impedire a due ebrei di litigare e di come ha salvato delle giovani donne da dei pastori che le molestavano al pozzo di Midyàn. Quando Moshè viene scelto, sappiamo già che si tratta di un uomo di educazione regale (che conosce il funzionamento del palazzo) e di coraggio morale. In questo modo possiamo capire perché lui è stato scelto.

Lo stesso vale per Sansone, Samuele, Davide e Geremia, le loro storie non emergono dal nulla.

Ma c’è una eccezione, e probabilmente è la sua figura più importante: Abramo o meglio nel suo nome originale Avrahàm.

Il Mondo all’Improvviso

Proprio all’inizio della parashà di questa settimana Lekh Lekhà (12, 1-3) è scritto: “Hashèm disse ad Avrahàm: ‘Vai via dalla tua terra, dal luogo in cui sei nato e dalla casa di tuo padre, alla terra che ti mostrerò. Farò di te una grande nazione, ti benedirò, esalterò il tuo nome e sarai [tu stesso] una benedizione… in tuo nome saranno benedette tutte le famiglie della terra’”(per approfondire vedi Libro di Bereshit). 

Perché proprio Avrahàm? Cosa ha fatto per guadagnarsi questa missione speciale da Dio?

La Torà non dice nulla su Avrahàm prima di questo incontro. Tutto ciò che ci viene detto, ma solo alla fine della parashà precedente (Nòakh) è che un uomo di nome Tèrakh aveva tre figli, Nakhòr, Avrahàm e Haràn: quest’ultimo morì mentre suo padre era ancora in vita, Nakhòr sposò una donna di nome Milkà; e Avrahàm sposò una donna di nome Sarai, che era sterile. Tutto qui!

Sulla base di quanto scritto nella Torà, Avrahàm non è altro che un ragazzo normale che vive a Kharàn, nell’attuale Iraq. E poi, all’improvviso, la Torà ci racconta di come Dio parlò ad Avrahàm, gli disse di lasciare la sua terra e di trasferirsi a Canaàn, e di come gli promise che avrebbe cambiato il mondo! Dio gli disse che sarebbe stato il padre di una grande nazione e che tutte le nazioni sarebbero state benedette da lui; Dio gli promise la Terra di Canàan come eredità eterna e lo trasformò nel padre di una nuova civiltà, incaricato della missione di cambiare il paesaggio del pianeta. Tutto il resto si basa su questo comando iniziale di Dio ad Avrahàm. Tuttavia, perché è stato scelto proprio Lui?

Di sicuro, il Talmud e i Midrashìm offrono numerose storie sulla giovinezza di Avrahàm, la sua ricerca della verità, la sua infinita curiosità e il desiderio di scoprire l’origine dell’esistenza; la sua battaglia contro i suoi connazionali e il re Nimròd; i suoi sacrifici per la verità e per le convinzioni che ha sposato. Eppure, dal testo biblico tutta la storia di Avrahàm sembra frutto di una combinazione casuale di eventi! Non viene raccontata nemmeno una singola narrazione sulle virtù uniche di Avrahàm per sottolineare le sue qualità straordinarie. Non c’è nemmeno un singolo versetto che racconti la sua grandezza. Su queste apparenti lacune della Torà si fonda l’acuta considerazione sollevata dal Rambàn.

Un Uomo Ha Ascoltato

Sono state suggerite molte risposte (Likuté Sukkòt vol. 25). Oggi, condividerò un’intuizione del Sefàt Emèt, Rabbi Yehudà Leib Alter, il terzo Rebbe di Gur, basata su un insegnamento dello Zohar. È breve, semplice e profonda. Le parole “Lekh Lekhà” sono in realtà dette da Dio a ogni persona, in ogni momento, ma fu solo Avrahàm a sentire la chiamata.

La Torà non parla del background di Avrahàm per spiegare perché Dio gli parlò, in quanto Dio non parlò (solo) a lui; Dio lo disse, e lo dice anche oggi a ogni persona. “Vai via dalla tua terra, dal luogo in cui sei nato e dalla casa di tuo padre, alla terra che ti mostrerò”, questa è la chiamata divina per ogni anima, ogni giorno. Se ci fosse stata la biografia di Avrahàm, si sarebbe potuto pensare erroneamente che il richiamo dall’Alto fosse rivolto solo lui per via dei suoi meriti e del suo sacrificio per diffondere il monoteismo assoluto.

La comunicazione crea un legame tra due persone. Se parlo, ma tu non ascolti, o non senti, è come se non stessi parlando con te. “Dio ha parlato ad Avrahàm”, non perché Dio ha parlato solo ad Avrahàm, ma perché Avrahàm lo ha ascoltato. Aveva l’ “antenna” emotiva, psicologica e spirituale che gli ha permesso di interiorizzare la chiamata divina.

“Questa persona mi parla davvero”, è un’espressione che spesso usiamo. Può darsi che quella persona stia parlando anche ad altri, ma in qualche modo, “solo io so come ascoltare quello che dice e lo capisco”. Ad esempio, anche gli uccelli parlano in qualche modo; gli uccelli che nidificano sugli alberi “parlano” tutto il tempo, così come le gazzelle, le marmotte, le tartarughe, gli alberi e persino le rocce. “Parlano” stillando energia e vitalità, con messaggi, suoni, gesti e canzoni, ma non sentiamo e non comprendiamo quello che hanno da dire, poiché non abbiamo gli strumenti per decodificare la loro “musica”, quindi non ci parlano. Grandi maestri talmudici capivano le lingue degli animali, degli alberi, quindi non è impossibile comprendere la loro lingua, solo che oggigiorno non disponiamo più di tali conoscenze.

Dio, invece, parla a ciascuno di noi. E il Suo messaggio è: Lekh Lekhà. Andate avanti. Uscite dalla vostra routine. Uscite dai vostri pregiudizi, dai vostri punti ciechi, dalle vostre paure, traumi e da tutte le voci che vi legano e vi hanno trasformato in esseri umani limitati e timorosi. Apritevi all’espansività divina; allargate i vostri orizzonti e diventate più grandi del vostro piccolo ego. Concedetevi di intraprendere un viaggio, verso la destinazione che Dio ci crea, anche se ciò significa lasciare andare tutto ciò che ci è familiare. Allontaniamoci dai nostri sé superficiali e apriamoci alla luce infinita divina della nostra profonda essenza. E per realizzare ciò occorre creare un radicale cambiamento di modello di vita: dall’egocentrismo, all’egocentrismo infinito del divino.

Dio chiama ognuno di noi e gli dice: Allontanati dalla tua prospettiva ristretta e inizia a vedere le cose dalla Mia prospettiva, dal punto di vista privilegiato della verità assoluta e dell’unità infinita. Esci dalla tua ristretta orbita egoistica e cambia il mondo! Facendo così arriverai al tuo sé più vero, alla tua parte più interna più profonda e infinita.

È una chiamata rivolta a ogni cuore umano, ma fu Avrahàm ad ascoltare la chiamata e ad agire di conseguenza. Sapete perché Avrahàm divenne la persona a cui Dio pronunciò queste parole fatali? Perché le udì! Quanti di noi sono capaci di ascoltare e interiorizzare davvero questo invito divino? Avrahàm lo era, ed è così e per questo che è diventato il primo ebreo e il primo grande rivoluzionario che è andato contro corrente e ha cambiato la storia.

L’Incredibile Storia di Avrahàm Vetzler

Sai chi ha sentito la chiamata di Lekh Lekhà? Un altro uomo di nome Avrahàm — Avrahàm Vetzler. Alcuni anni fa, il rabbino Chaim Heber, ambasciatore Chabad a Beer Sheva, in Israele, ricevette una chiamata.

“Ciao, mi chiamo Avrahàm Vetzler. Ho 90 anni. Prima che Dio riprenda la mia anima, voglio imparare la Torà”. Una telefonata strana, per usare un eufemismo.

“Certo”, risponde il rabbino Chabad. “Verrò a casa tua e studieremo la Torà”.

“No. Non puoi mangiare niente a casa mia. È completamente non-kosher. Verrò io da lei”.

Così, cominciarono a studiare la Torà insieme. Dopo alcuni mesi, Avrahàm celebrò il suo bar mitzvà all’età di 90 anni. Qualche tempo dopo, iniziò a osservare lo Shabbàt. E poi, un giorno, chiamò il rabbino e gli disse: “Ho smesso di comprare cibo non kosher, vieni a rendere la mia cucina kosher!”

Nel 2017, Avrahàm fece scrivere un Sèfer Torà (Rotolo della Torà) in memoria dei suoi genitori e l’intera comunità danzò, mentre introduceva la nuova Torà nella sinagoga.

Fu allora che il rabbino Heber si voltò verso di lui e gli chiese: “Avrahàm! Devi spiegarmi il mistero. Cosa è successo all’improvviso all’età di 90 anni che ti ha spinto a studiare la Torà?”

Lui rispose: “Sono un ebreo ungherese. Sono nato nel 1927. Nel 1944, siamo stati deportati dai tedeschi. I miei genitori sono stati assassinati. Erano ebrei osservanti della Torà, persone sante e pie. Mi sono arrabbiato così tanto con Dio e con l’ebraismo che quando sono uscito dai campi di sterminio, ho deciso di abbandonare del tutto l’ebraismo e la vita ebraica. Qualche tempo fa, un vicino mi ha invitato a cena per un venerdì sera. Sono andato a casa sua e ho visto la padrona di casa, Chana Rechima, accendere le candele dello Shabbàt. Non vedevo una donna accendere le candele dello Shabbàt da più di 80 anni. All’improvviso, ho avuto un flashback di quando ero un bambino a casa mia in Ungheria, era venerdì sera, e mia madre accendeva le candele e pregava Dio in silenzio, con le lacrime che le rigano il viso. Tutto mi è tornato in mente in quel momento. Il giorno dopo ti ho telefonato e ti ho chiesto di iniziare a studiare la Torà”.

Immaginate: 80 anni fa, una donna ebrea accese delle candele e chiese a Dio che suo figlio crescesse come un bravo e orgoglioso ebreo. Poi viene presa dai nazisti e assassinata, suo figlio sopravvive ma butta via tutto. La fiamma dello Yiddishkeit (dell’ebraismo) apparentemente, si era spenta, almeno per questa famiglia. Ma 80 anni dopo, quel ragazzo, Avrahàm, sente la chiamata “Lekh Lekhà!”. Un suo avo, Avrahàm il patriarca, lasciò in eredità quel dono a tutti i suoi discendenti. Se ascoltiamo, anche noi possiamo sentire quella chiamata.

Rav Akiva iniziò a studiare la Torà a 40 anni; Avrahàm Vetzler iniziò a studiarla a 90 anni.

Il 27 ottobre 2020, 9 kheshvàn, 5781, l’ungherese Avrahàm Vetzler ha restituito la sua anima al Creatore in Israele. Aveva 94 anni. Le preghiere di sua madre con le candele accese furono esaudite.

A 90 anni, Avrahàm sentì la chiamata di Lekh Lekhà.

Un augurio a tutti noi di riuscire a sentire il nostro Lekh Lekhà prima di compiere 90 anni.

Questa storia di Avrahàm Vetzler si è ripetuta tante volte una in particolare mi ha toccato è la seguente.

A Milano negli anni Novanta, un mio carissimo amico di origine egiziana, Maurizio Gabbai, ha sentito il richiamo di studiare la Torà a un’età avanzata ed era molto assetato della luce della Torà. Da importante imprenditore nei beni di largo consumo quale era, decise di non perdere più tempo a rincorrere le cose materiali della vita. Quindi, Maurizio iniziò a maturate una nuova consapevolezza che lo ha portato presto a trasformare il proprio stile di vita, fino a farlo diventare un esempio per molti e anche per me. In altre parole MAI DIRE MAI.

Dal giorno che ha iniziato a sentire il suo LEKH LEKHÀ ha preteso di non essere più chiamato Maurizio, ma RAV MOSHE. Quindi da quel momento in poi volle avere sia un nuovo nome ebraico e sia il titolo di RAV (rabbino in ebraico). A lui, infatti, piaceva questo titolo perché gli permetteva di esprimere il suo forte spirito e il fatto di aver migliorato il senso della sua vita, dedicandosi con impegno allo studio della Torà, così da riuscire ad accendere la sua anima.

Quando l’anima si sincronizza e si collega con il messaggio universale ed eterno di LEKH LEKHÀ, non si può rimanere Maurizio, perché si accende la vera identità dell’anima e si diventa RAV MOSHE.

Tratto da uno scritto di Y. Y. Jacobson

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