La Cabalà e i Quattro Mondi della Guarigione
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Nella concezione ebraica, il corpo non è la ‘prigione’ dello spirito ma la sua merkavà, il ‘cocchio’ meraviglioso grazie al quale l’anima fa la sua esperienza del mondo. Attraverso i sensi del corpo, l’uomo può arrivare a odorare, gioire, gustare, sentire, amare la creazione nella consapevolezza che tutto è Dio e che Dio è tutto. È con la voce che può intonare meravigliose lodi al Signore; sono le gambe che esplorano i movimenti della libertà e della danza sacra; sono le mani a permettergli di operare il bene, di abbracciare i propri cari e scrivere opere di sapienza.
D’altro canto il corpo è, per la tradizione ebraica, anche lo specchio di tutte le contraddizioni dell’anima, degli squilibri affettivi, relazionali e spirituali dell’uomo. Nel corpo si inscrive il dialogo tra uomo e Dio, come suggerito dal versetto di Giobbe: “Dalla mia carne avrò una visione di Dio”. Addirittura, re David afferma nei Salmi: “Il tuo insegnamento è nelle mie viscere”, alludendo ai richiami e ai segnali divini che si riflettono immancabilmente sul corpo dell’essere umano, soprattutto se egli è sensibile e spiritualmente evoluto.
La dialettica tra Luce e Contenitore (ad esempio, tra anima e corpo) è un concetto basilare della Cabalà e descrive il rapporto di interdipendenza tra la solidità e la capienza del Contenitore e la quantità di Luce che esso può efficacemente contenere.
A partire da questo rapporto dialettico, l’ebraismo attribuisce un’attenzione particolare ai bisogni del corpo, il Contenitore della Luce divina per eccellenza, come testimonia l’uso dell’avverbio ‘molto’ (meòd) con il quale la Bibbia sottolinea l’importanza di prendersi cura della propria salute, nel precetto: “Vi prenderete molta cura del vostro corpo”. Per secoli, i maestri dell’ebraismo hanno compilato trattati e composto normative con lo scopo di guidare gli ebrei nell’adempiere il comandamento “vi prenderete molta cura della vostra nèfesh”, termine non a caso usato dalla tradizione ebraica per alludere sia al corpo che all’anima.
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Se il primo livello di guarigione è associato alla Terra e al nutrimento fisico, il secondo dipende dal nutrimento affettivo ed è associato all’elemento Acqua. L’Acqua, con la sua capacità di adattarsi alla forma dei suoi contenitori, è il modello che dovremmo prendere ad esempio in questo processo di trasformazione e di miglior gestione del nostro mondo affettivo. In questo capitolo tratteremo dunque del vissuto emotivo, delle nostre ‘acque interiori’, al fine di risanare le nostre relazioni e, con esse, la nostra vita e la nostra salute. Per farlo, ci faremo ispirare dall’archetipo dell’Acqua che, come scrive Paolo Consigli, è “sempre pronta a cambiare, a adattarsi, a creare, a trasformarsi […] Racchiude al suo interno il segreto dell’intelligenza, che è la capacità di avere un comportamento flessibile e innovativo” .
Il quinto comandamento del decalogo, Onora tuo padre e tua madre affinché si prolunghino i tuoi giorni sulla terra, manifesta chiaramente l’importanza di instaurare rapporti affettivi positivi per poter aspirare ad avere una vita sana e longeva. L’ignoranza di tale precetto, da parte di una società nella quale spesso gli anziani genitori non solo non sono rispettati ma vengono abbandonati o affidati agli ospizi, è forse una delle cause della mancanza di ‘salute’ della civiltà occidentale.
La tradizione orale contiene migliaia di pagine riguardanti le strategie per assolvere questo difficilissimo precetto senza venir meno all’osservanza dell’altro fondamentale comandamento: “l’uomo quindi lascerà suo padre e sua madre; si unirà a sua moglie e diventeranno un’unica creatura”. Il versetto biblico che mette in relazione la salute con un corretto rapporto relazionale con l’ambiente che ci circonda (l’onorare i genitori affinché si prolunghino i nostri giorni sulla terra), è solo il più noto di una serie di consigli della tradizione ebraica volti a farci instaurare vincoli di rispetto e di cooperazione finalizzati al mantenimento dell’armonia e della salute.
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Il terzo livello di guarigione, associato al Mondo mentale, è connesso al superamento, sia nell’ambito personale che in quello sociale, di tutte le credenze, illusioni, razionalizzazioni e giustificazioni che ci proteggono dal cambiamento. Il Mondo delle Idee, secondo la Cabalà, è infatti un mondo tutt’altro che astratto: esso è chiamato Olàm ha brià, che letteralmente significa Mondo della Creazione.
L’affermazione del Baal Shem Tov “pensa bene e sarà bene” trova oggi riscontri nei risultati delle ricerche della fisica e della psicologia energetica che hanno convalidato la teoria del ‘pensiero che crea’.
Il ruolo della consapevolezza del malato nel processo di guarigione fu sottolineato anche da Maimonide il quale sosteneva la decisiva importanza della scelta, da parte del paziente, dei pensieri che lo avrebbero portato ad ‘allearsi con il medico oppure con la malattia’. Questa espressione è associabile, nel lessico corrente, a quel rischioso fenomeno di ‘identificazione con la diagnosi’. Per questo, alcuni medici (ancora troppo pochi) riflettono a lungo prima di comunicare diagnosi e prognosi che, pur dovendo essere rese note ai familiari, in certi casi dovrebbero restare ‘riservate’ (per quei pazienti particolarmente vulnerabili alla suggestione). La maggioranza dei medici, purtroppo, non sempre ha una sufficiente conoscenza del mondo psichico dei propri pazienti e spesso corre il rischio di trasformare la diagnosi in una sentenza ineluttabile.
Maimonide aveva compreso il ruolo fondamentale del pensiero e del mantenimento di stati di coscienza sereni nel processo di guarigione:
“Il medico dovrebbe pensare che ogni malato ha un cuore oppresso e quindi dovrebbe allontanare da lui i moti dell’anima che conducono all’ansietà […] non dovrebbe dare la precedenza a nulla prima di aver migliorato lo stato della psiche rimovendo tutti i movimenti estremi dell’anima […].
Si dovrebbe rafforzare l’energia vitale con strumenti musicali raccontando al paziente storie allegre che dilatino il suo cuore e lo facciano sorridere insieme ai suoi amici. […] Il medico non dovrebbe pretendere che la sua arte medica e la sua conoscenza possano mettere da parte i moti dell’anima”.
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